Ci sono squadre talmente belle a vedersi, soprattutto quando impostano, costruiscono, rifiniscono e concludono l'azione - dicesi: "fase offensiva" - che la sensazione è quasi quella che siano studiate a tavolino, oltre che nella teoria, anche nella pratica.

Eppure il calcio giocato è improvvisazione pura. Ogni azione è unica, ogni giocata irripetibile. Non ne esistono e non ne esisteranno mai due uguali. Ergo, se applicare quanto viene indicato, nei giorni antecedenti alla partita, dal proprio allenatore è già difficile in sé, realizzarlo è ancora più difficile. Eppure Sassuolo e Fiorentina ci riescono.

Pioli e De Zerbi sono due allenatori estremamente diversi. Il primo, di circa 15 anni più vecchio e cresciuto calcisticamente nel periodo d'oro del Milan, non poteva non scrivere una tesi, al Master di Coverciano, sulle catene laterali del 4-4-2 a zona di ispirazione sacchiana. E così fu: all'insegna della "collaborazione tra più giocatori dislocati vicino sul terreno in senso orizzontale o verticale dal sistema di gioco", che "effettueranno movimenti coordinati e funzionali, in relazione ad una determinata situazione in un dato settore di campo" si sono sviluppati i primi anni di carriera del parmense, che però quel magico modulo non l'ha mai applicato, di fatto. E' partito dal 4-2-3-1, passato al 3-5-2, ed ora approdato abbastanza stabilmente al 4-3-3. E quello della Fiorentina funziona da Dio. Anche perché è magicamente tenuto in equilibrio dalla corsa indomita e dalla capacità di fare tutta la fascia di quello che ormai da un anno è il migliore esterno italiano per distacco, Federico Chiesa. Che si abbassa lavorando elasticamente, realizza - appunto - una catena perfetta con Milenkovic, e ristabilisce i dettami dell'amato 4-4-2 della fine dei magici anni '80 e dell'inizio dei '90. Quelli in cui l'allora calciatore Stefano divideva il campo, proprio con la maglia viola addosso, coi vari Baggio, Dunga, Batistuta, e iniziava parallelamente ad appassionarsi anche di basket e di NBA. I cui ritmi e tempi di gioco sono alla base anche della sua idea di calcio.

Due mezzali rapide, capaci di inserirsi, e due ali duttili, non necessariamente a piede invertito, come invece piacciono tanto al suo corrispettivo del Sassuolo.

Un terzino bloccato - Milenkovic - e uno libero di salire - Biraghi - , a bilanciare due ali che, a loro volta, se da un lato si abbassano - Chiesa -, dall'altro rimangono alti, a fungere da seconda punta - Eysseric, Pjaca o Mirallas, che però può giocare anche al posto di Chiesa.

E poi un centravanti, Simeone, che ha dalla sua al di là di un impeto raro e fondamentale, anche la capacità di darsi da fare per la squadra. Tutte capacità mostrate, singolarmente e di squadra, anche contro la Spal, che pur essendo una provinciale certo non è l'ultima arrivata: e l'ha dimostrato in questo primo mese di campionato. Eppure al Franchi, dove sabato la Fiorentina ha incamerato i punti 8,9 e 10 della stagione, la Fiorentina ha fatto un sol boccone, della sua avversaria.

Perché la sua manovra oltre che essere avvolgente è anche efficace, perché pragmatica, ed atta, come ribadito dal suo allenatore a fine partita, a comandare il gioco a prescindere dall'avversario.

Una filosofia che è sempre piaciuta, e non poco, anche a De Zerbi. Più giovane e sfrontato, meno scafato e concreto, altrettanto vincente. Più ideologo, se vogliamo. Forse anche perché da calciatore uno faceva il mediano e l'altro il fantasista.

A fine settembre l'altra squadra a quota 10 è il suo Sasòl, che ne fa anch'esso tre, ma all'Empoli, e regala quelle folate di bel gioco che si merita chi ama questo gioco al di là di quanto possano ingolosire le canoniche big.

E non potrebbe essere altrimenti, visto che nel giro di una manciata di settimane gli automatismi del 4-3-3 neroverde hanno iniziato a stuzzicare la curiosità di importanti analisti europei, alla caccia delle ormai rarissime innovazioni tattiche che possano essere reperite sul "mercato" allenatori.

Nel menu di Robertino, ragazzo di Brescia cresciuto nella Primavera rossonera, ma mai veramente esploso, c'è la ricerca smodata della superiorità numerica, il possesso palla, gli interscambi di posizione e i movimenti senza palla, soprattutto di mezzali e terzini.

Appunto dalla libertà di iniziativa concessa a Lirola e Rogerio, prossimi alla consacrazione, passa buona parte della manovra del Sassuolo, che a centrocampo riesce perfettamente a incernierarsi intorno a Locatelli, Sensi e Duncan. Gente pratica, senza fronzoli, che deve garantire quel filtro e qualla capacità costruttiva, anche a costo di insistere con quel tiki-taka all'italiana che pur non essendo l'ideologia base del calcio Dezerbiano lo diventa, gioco forza, quando si aspettano i movimenti a tagliare in mezzo delle ali, Di Francesco e Berardi, che giocando a piede invertito di fatto possono essere considerati dei veri e propri attaccanti esterni. Così come lo sono, seppur diversificando le loro giocate in virtù delle proprie peculiarità, Boateng e Babacar (che possono giocare anche insieme, con Prince che si decentra a sinistra al posto di Di Francesco, a proposito di esterni figli d'arte).

Contro l'Empoli, annichilito appunto dalla fluidità delle catene sia di destra che di sinistra, abbiamo visto un intero campionario di giocate che in verità avevamo assaggiato anche contro la Juventus, che pure fa un campionato a parte. E che, sino al momento dell'epic fail di Ferrari che ha regalato il vantaggio a Ronaldo, aveva dimostrato a differenza dei Sassuolo precedenti di poter dire la propria anche allo Stadium.

Datecene ancora, di Fiorentina e di Sassuolo, di Pioli e De Zerbi, e di 4-3-3 così bene interpretati. A livello puramente tattico, probabilmente, più di quelli di Milan e Juventus, che per motivi di ambizione societaria devono puntare inevitabilmente più ai punti che a farsi piacere. A differenza di Pioli e De Zerbi, che stanno raccogliendo punti, facendosi piacere. E finché sarà così, sarà anche giusto. Oltre che un piacere.