Sarò sincero. Quest'anno ero sinceramente e smaccatamente ottimista.

A fine estate vedevo dei gironi - sia di Champions che di Europa League - non propriamente banali, ma neanche particolarmente ostici, ed i miei pronostici per le italiane, per la prima volta dopo almeno un lustro, erano più che positivi.

Al di là delle rivali nei gironi, ero soprattutto felice per quel che vedevo in campo.

L'Inter sembrava finalmente pronta ad affrontare le grandi, vecchie, amate sfide europee. Ancelotti era riuscito a far funzionare alla grande il Napoli anche col turn-over che era stato il suo principale tallone d'Achille durante la gestione Sarri.

Il Milan aveva finalmente una punta di spessore ed una panchina un po' più lunga. Mi sarei, invece, aspettato delle difficoltà dalle romane, che non sembravano girare alla perfezione (e non lo fanno ancora adesso) e non sono storicamente abituate a determinati palcoscenici come le altre.

Della Juve, per evitare di essere ridondante, neanche parlo. L'accreditata numero uno (o, al massimo, numero due) alla vittoria finale della Coppa dalle grandi orecchie non poteva non pensare di passare da prima in un girone in cui gli unici ostacoli erano due grandi decadute come Valencia e United.

La differenza, tutta, l'avrebbero quindi fatta i rispettivi cammini del Napoli e delle milanesi. E quest'anno, ahinoi, hanno fallito tutte e tre.

Delle dinamiche occasionali che hanno contribuito al fallimento del passaggio del turno di tutte e tre preferisco non parlare. Un rigore regalato in Grecia ci può stare, così come anche uno svarione difensivo di troppo e l'imperscrutabile intreccio che porta a essere esclusi a pari punti.

Quel che conta è il risultato. Ancora una volta insoddisfacente, oltre che insignificante: purtroppo, a scapito del ranking, ma anche di quella reputazione europea che a conti fatti poi, oltre al tornaconto finanziario, decide anche alcune significative dinamiche di calciomercato.

Peccato, peccato davvero. Per il crollo finale, ma anche per le leggerezze commesse durante un percorso in cui l'unica discriminante a nostro sfavore è sembrata l'inesperienza.

Un'inesperienza che ci siamo costruiti, nel corso di anni e anni di brutte figure e di digiuno continentale, che le nostre squadre hanno utilizzato anzitutto per ricostruirsi a livello nazionale e formarsi a livello societario.

Ora, però, questa fase può e deve ritenersi conclusa.

Non possiamo più permetterci di posticipare il ritorno del peso specifico della Serie A anche in Europa, anche perché il fattore che più ci ha penalizzato è stato, purtroppo, proprio l'inesperienza di cui parlavo prima: è un cane che si morde la coda.

Meno giochi ad alti livelli, meno ti abitui a giocarci, e meno riesci a dimostrare di essere in grado di farlo.

Le rose delle tre squadre che sono uscite anzitempo dalle proprie competizioni sono quelle che meno contemplano giocatori abituati a determinati palcoscenici e traguardi: non un caso.

Ora ci toccherà continuare a sperare che la Roma ripeta i miracoli della scorsa annata, che la Lazio arrivi più in fondo possibile, e che Napoli e Inter - ma fatico a crederci - decidano di investire su una competizione che sinora tutte - nessuna esclusa, grandi e piccole - le nostre squadre hanno trattato con insopportabile snobismo e giocato con vergognosa sufficienza.

Oltre che, ovviamente, la Juventus confermi di essere la Juventus, ma con un Cristiano Ronaldo in più. Senza di lui questa squadra ha mostrato di poter arrivare in finale, ma di non essere in grado di farcela, contro la favorita di turno: ora la favorita è lei, e deve avere paura solo di sé stessa.

Ovvero, una squadra così forte, completa, esperta e psicologicamente solida che non potrebbe permettersi neanche di perdere due partite su sei, in un girone del genere.

Cosa, questa, che non dovrebbe preoccupare visto il raggiungimento del traguardo minimo, ma che almeno un campanello d'allarme dovrebbe farlo trillare. E che lunedi, quando Allegri conoscerà la sua prima rivale continentale del 2019, farà bene a far risuonare a mò di campanaccio assai vicino ai padiglioni auricolari di chi crede che sia un gioco da ragazzi.

In Europa, e a maggior ragione in Champions, nulla lo è.

E per fortuna (o per sfortuna) la Juventus lo sa bene.