Quando si vincono 4 partite di seguito in Serie A, non è mai per caso. A meno che non si tratti di una grande, filotti positivi del genere, che durano mediamente un mese, sono sempre frutto del lavoro, dell'eccellente condizione atletica, della perfetta alchimia tattica e, immancabile, anche di un pizzico di fortuna.

In Serie A, ad ora, questo è il momento dell'Atalanta, che dopo averne fatti 5 a Verona, per gradire ne rifila anche 3 al Parma, 2 a Bologna e, infine, oggi, ben 4 all'Inter. Ovvero a quella che sino a stamattina era la migliore difesa del campionato (6 gol subiti in 11 giornate): ma la considerazione più clamorosa è un'altra.

Ovvero, che se nel primo tempo la Dea avesse trasformato in gol anche solo metà delle chiare occasioni da gol create, oggi probabilmente parleremmo di una sconfitta dal risultato più che tennistico.

Follia pura, se consideriamo anche l'avversaria era la stessa squadra capace di tener botta contro il Barcellona.

Inter inguardabile e mai in partita, vero. Ma mai come oggi sentiamo la necessità piuttosto di sottolineare i meriti di chi, questa Inter, l'ha asfaltata con un gioco avvolgente e un'intensità più unica che rara. Ovvero, del prodotto del sottile genio di Gasperini, che in una apparentemente anonima mattinata d'autunno, s'è preso la più roboante della rivincite, verso chi gli ha concesso solo un mese e mezzo di tempo, prima di cacciarlo. A Bergamo, invece, lo si è atteso sempre, anche nei momenti peggiori. E non che non ce ne siano stati, anzi: l'ultimo, questa estate, dopo non esser riuscito a fare neanche un gol al Copenaghen. Un'impresa (negativa) che gli è costata la prematura uscita da un'Europa sudata sette camicie, e che oggi sembra distante anni luce (quando in realtà parliamo di soli tre mesi fa).

Famiglia Atalanta (getty)

+
Il problema, se proprio ne volessimo trovare uno, risiede nella natura di questa squadra. Che quando sta bene, e riesce a dar fondo alle immani energie atletiche necessarie a sorreggere una manovra sospinta da tre difensori, due soli mediani, due esterni più offensivi che difensivi, due trequartisti e una punta. Tante, delocalizzate e diversificate fonti di gioco, capaci di innescare la manovra in maniera tale da renderla costantemente imprevedibile e, per questo, non contenibile. Un fiume in piena di potenziali fuocherelli costruttivi, che però non possono innescarsi a meno che non stiano tutti, mediamente, bene fisicamente. Anche l'esaltazione dei difensori sui piazzati (vedi Dijmsiti e Mancini in questa fase, ma anche storicamente Palomino, Masiello e Toloi), per quanto apparentemente banale, come idea tattica, in realtà produce risultati degni di nota solo nel momento in cui i difensori stessi hanno, contemporaneamente, diverse qualità. 

In primis, la forza per staccare così in alto e colpire con precisione, ma anche la forza fisica per svettare sui proprio marcatori, e la condizione mentale per cui la puntualità del balzo diventa un esercizio psicologico, più che un autodeterminazione basata sul puro istinto. E lo stesso, identico, discorso va anche fatto per gli inserimenti in diagonale degli esterni: Spinazzola che crossa per l'accorrente Conti era un must del primo Gasp orobico, così come Gosens che vede il taglio di Hateboer dall'altra parte lo è del Gasp orobico versione 2018. Automatismi d'alta scuola, che in Serie A allenatori ben più rinomati, e pagati, non riescono a replicare pur potendosi avvalere di cursori infinitamente superiori a entrambi. 

Hateboer +3 'alla Conti' (getty)

+
Paradossalmente, i meriti minori Gian Piero da Grugliasco ce li ha sui suoi due top player: ovvero, quel Gomez e quell'Ilicic che erano già Gomez e Ilicic prima di arrivare all'Atalanta. Per quanto, trattasi di calciatori oggi intorno alla 30ina che mai s'erano espressi su livelli simili. 

Oltre che sui centravanti, in senso stringente del termine: all'Atalanta, né Petagna e Cornelius prima, né Zapata e Barrow oggi, riescono a fare ciò che più naturalmente gli sarebbe richiesto. Ovvero, gol

In compenso, questo è vero, svolgono quell'imprescindibile, e oneroso incarico di centravanti di manovra che è fondamentale per garantire a tutti gli altri 9 calciatori di movimento di prodursi anche in area avversaria. La domanda, però, resta: chissà dove potrebbe arrivare una squadra di lignaggio più alto, e dalla rosa più profonda, con Gasperini in panchina. Un Icardi o un Higuain, tanto per fare un paio di nomi, da riferimenti avanzati del suo 3-4-2-1, segnerebbero meno dei loro standard, oppure lo stesso numero di gol, rendendo una squadra già da zona Europa in grado di gareggiare per traguardi ben superiori? Oppure, in verità, è il contrario. Ovvero, che quello del centravanti che non segna è una naturale conseguenza del gioco dell'Atalanta, considerato che Petagna oggi segna alla Spal, e Zapata, prima, segnava alla Samp?

'Quién sabe?', titolava un celebre western di una cinquantina di anni fa. Di certo la curiosità è molta. Perché il Gasp, che in molti - me compreso - avrebbero voluto vedere in Nazionale dopo il drammatico ciclo venturiano, un'altra grande occasione la meriterebbe eccome. A differenza di molti suoi colleghi, ben più sponsorizzati a livello mediatico. A Gian Piero, d'altra parte, non sarebbe mai venuto in mente di mettere le mani protese verso le orecchie, dopo una vittoria contro chi lo odia, come gli juventini odiano Mourinho. D'altra parte i tifosi dell'Inter non lo hanno mai fischiato, dopo la sua breve parentesi a Milano, anzi provano indifferenza nei suoi confronti. In molti, probabilmente, neanche lo ricordano, sulla panchina nerazzurra. E forse esultare così, sotto tono e sotto traccia, è ancora più bello e meritato rispetto a chi lo fa platealmente, facendo parlare di sé il mondo intero. Mou, d'altra parte, ora dagli juventini è al limite ulteriormente detestato. Gasp, invece, da qualche tifoso interista, adesso, è semmai un po' più rimpianto.