"Alessandro [Del Piero, n.d.r.], sei stato il mio modello, il campione che ho sempre ammirato e al quale ho fatto riferimento. E' sempre stato il mio giocatore preferito. Un peccato non averci mai giocato insieme"

[Cristiano Ronaldo, 2011]

Probabilmente, quando verrà presentato, a Torino, tra qualche giorno, lo ripeterà. Ebbene sì: è Pinturicchio l'idolo di CR7. E così come Alex fu idolo dell'intera tifoseria bianconera sino a qualche anno fa, oggi il circolo sta per chiudersi. Con la trasposizione di quell'incontenibile attrazione, smistata verso quello che è il migliore calciatore del pianeta. E, forse, almeno secondo qualcuno, di tutti i tempi.

#CristianoRonaldoAllaJuve non è (stata?) solo una trattativa di calciomercato. Trasferimenti ben più onerosi, come Coutinho al Barcellona o Neymar e Mbappé al PSG lo sono stati. CR7 in Italia è qualcosa di diverso. Di intenso e intensivo. Di grande. Di epico. Di surreale, almeno sino a una decina di giorni fa, quando in almeno cinque diversi Paesi (Portogallo, Italia, Spagna, Francia, Inghilterra) la notizia è diventata prioritaria anche rispetto al Mondiale che entrava nel vivo.

E d'altra parte non potrebbe essere altrimenti. I primissimi vagiti di un clamoroso addio al Real Madrid, in ogni caso, risalgono alla scorsa stagione.

Il rapporto incrinatosi con i vertici madrileni dopo il "famigerato" caso fiscale che lo riguardava; l'infatuazione del "suo" Florentino per Neymar (più di ogni altro, suo potenziale erede anche a livello di immagine); il mancato rinnovo a cifre paragonabili (se non superiori) a quelle dell'acerrimo rivale Messi; il raggiungimento, reiterato, di ogni possibile obiettivo, personale e di squadra.

E poi, l'ovazione dello Stadium a seguito del gol che forse più del discusso rigore su Vazquez ha deciso la doppia sfida con la Juventus. Già, la Juventus. La squadra - non l'unica, ovviamente - che lo voleva quando era ancora un ragazzino brufoloso e non un sex symbol mondiale. Tifata da uno stadio imparagonabile al suo, il Bernabeu, ma capace più di ogni altro di farlo sentire importante, seppur da avversario. Non sono luoghi comuni né ritornelli stonati, sia chiaro: poste le fisiologiche eccezioni alla regola, i calciatori pensano prima di tutto al denaro, poi alla carriera, ma in terza posizione mettono inevitabilmente anche il contesto. Geografico, sociale, ludico, urbano. Antropologico. E in quest'ultimo ambito rientra anche l'effetto che può fare, su un ultratrentenne che certo di sfide e di emozioni ne ha vissute, un pubblico avversario in visibilio. Che più che essere stordito dalla mazzata presa, a domicilio, preferisce applaudire. Perché in fondo in fondo, al di là dell'appartenenza e della fede, è sempre per uno spettacolo che si paga il biglietto. E Cristiano è uno che lo spettacolo lo sa sempre onorare.

"Per me, per essere il migliore devi provarlo in paesi e campionati diversi"

[Cristiano Ronaldo, 2012]

Da lì in avanti è iniziata, concretamente, la ricerca di una nuova sfida. Un percorso dal sapore d'ambrosia ma anche per questo antico - l'Italia, la Serie A - , da assaporare di giorno in giorno, in una fase della propria parabola e delle propria vita abbastanza diversa dalle altre. Torino, si sa, è d'altra parte più una città per 35enni belli, ricchi e famosi, che per 25 enni con le medesime doti (e interessi). E Cristiano, per quanto sia storicamente affezionato al genere femminile, non ha mai ricercato il divertimento sfrenato e la movida a tutti i costi. Per questo prenderà casa - anzi, castello - in collina, lì dove già risiedeva un modello sportivo come Zidane, che quasi certamente al momento del suo dichiarato addio già sapeva delle intenzioni del suo calciatore, e gli avrà dato qualche utile riferimento e contatto.

Non contratto, quello no. Quello, da 230 milioni lordi in 4 anni, glielo offre la Juventus. supportata, in sede di sponsorizzazione dell'azienda che ha alle spalle e di lato. Giusto così: acquistando Ronaldo non si acquista solo un calciatore. Inevitabile, dunque, gestirlo come il più produttivo e collettivo brand di ogni tempo. Coinvolgendo quindi Ferrari e non solo, nella ridistribuzione di oneri e onori di chi, da solo, vale a livello social quanto qualche decina di Juventus.

Questo il quid a livello finanziario e commerciale. Poi ci sarebbero considerazioni a sufficienza per monopolizzare i media e il web per un mese - cosa che effettivamente sta accadendo, peraltro - almeno, spostandocisi sull'ambito prettamente sportivo. Perché Ronaldo è esattamente quello che serviva alla Juventus, e non esiste scelta migliore rispetto a quella che in queste settimane hanno fatto Agnelli, Marotta e Paratici. Il cui obiettivo comune - e quest'anno sarebbe giusto anche renderlo dichiarato e palese - è ovviamente quella Coppa lì. Quella con le orecchie grandi, che quel tizio lì ormai alza una volta l'anno con la stessa facilità con cui la Juventus a fine maggio si cuce il tricolore sul petto.

Unire le forze, quindi, per spostarla da Madrid a Torino, non poteva essere che la vocazione di entrambi. City e PSG, nell'ultimo lustro, ci hanno provato, invano, andandosi a prendere qualsiasi cosa fosse semplicemente costoso, in giro per il Mondo. Ronaldo e la Juventus no.

Cristiano c'è riuscito con la determinazione, il perfezionismo smodato, la cura maniacale dei particolari e un atletismo ai confini della realtà. Oltre che, ovviamente, avendo alle spalle altri 10/11esimi che pur non essendo ai suoi livelli, da soli certo non sfigurerebbero - e la contro verifica probabilmente la avremo, sul campo, tra qualche mese.

La Juventus non c'è riuscita con un sistema simile, seppur spostato dal singolo alla società. Ha sbagliato pochissimo questo club da quando ha vinto il primo dei suoi sette scudetti: praticamente mai l'acquisto di un giocatore fatto e finito (tipo Tevez, Pirlo, Khedira, Pjanic, Mandzukic e non solo), rarissimamente quando si è trattato di investire su prospetti da far crescere (vedi Pogba, Dybala, Bernardeschi, e oggi Caldara e Perin). Perfezionismo, quindi, societario, che ora s'è però piegato a una logica: non basta. Anzi, può non bastare, e comunque sinora non è bastato.

Per essere i migliori d'Europa, da quando sono tornati alla ribalta i superuomini di questo sport, serve averli in squadra e non contro.

Una necessità che abbandona addirittura l'essere virtù a maggior ragione quando i tornei diventano a eliminazione diretta. E Cristiano più di Messi, anche a livello di Nazionale, ha dimostrato sul campo di essere quel tipo di superuomo. La singolarità che trascina e risolve i problemi, quasi sempre. Cosa che sinora non hanno fatto, per intenderci, né Dybala né Higuain: ma mentre il primo legittimamente rientra nella categoria di coloro che possono anche permettersi di non fare la differenza a livello internazionale, essendo stato acquistato come un potenziale campioncino da realizzare, il secondo, per il suo valore di mercato, è reo di non essere riuscito a cambiare le cose. E di non aver fatto più di quanto avrebbe fatto, al posto suo, un qualsiasi, buon centravanti. Sicuramente non uno da 90 milioni e 14 lordi annui di ingaggio.

Detto ciò, non è detto che come molti sostengono l'arrivo di Cristiano lo porti necessariamente a salutare anzitempo la Juventus. Perché il portoghese è sì una macchina perfetta, che dimostra almeno dieci anni in meno di quelli che realmente ha, ma ha comunque un chilometraggio cospicuo che non può arrivare all'infinito.

Non può essere un caso, d'altra parte, se nel suo ultimo quinquennio sportivo le annate migliori, in Europa e in Nazionale, sono coincise con quelle in cui ha totalizzato meno presenze in campionato. E non può essere neanche un caso se, da tre anni a questa parte, sempre questo numero di presenze sia sempre in lieve, ma costante, decremento.

#CristianoRonaldoAllaJuve, quindi, non sarà mai l'Icardi dell'Inter, che per tutta una serie di motivi, oltre che per l'ottima condizione fisica, giocherà indifferentemente tutte le partite: dovendo per ovvi motivi privilegiare il suo impiego in Champions, quindi, sarà necessario un calciatore di ottimo livello da usare sia insieme a lui, in caso di necessità, che come suo alter ego. E per come è cambiata la posizione in campo, e l'approccio alla partita, di CR7, quel sostituto non può che essere Higuain, sempre che accetti di non essere più (come peraltro già è successo per una breve fase della scorsa stagione) l'inamovibile che doveva essere quando venne strappato al Napoli. A meno che non sia lui a chiederlo, quindi, ho ancora delle remore sulla partenza del Pipita. Altro calciatore che non si rimpiazzerebbe con facilità così come invece, personalmente, a me pare rimpiazzabile Dybala. La cui valutazione di mercato rischia di non essere mai più così alta (a maggior ragione se alla Juventus palle inattive, rigori e giocate ad effetto verranno monopolizzate da Cristiano), e la cui collocazione in campo mai così ambigua. Insomma, non mi meraviglierei se da qui a qualche tempo ci ritrovassimo la Joya sul mercato, magari in direzione PSG (che cerca anche Suarez), da dove potrebbe partire uno - Neymar o Mbappé - dei potenziali eredi di Ronaldo al Real.

Già, il Real. Ecco cosa manca, in quanto a tasselli del puzzle, per chiudere anche l'ultimo degli spazi vuoti.

A Madrid il calcio, oltre che sport di massa e alta finanza, è anche immagine. Ed è proprio per difendere l'immagine del club che Perez ha riferito a Mendes che lascerà partire il suo tesserato, ad una cifra più bassa rispetto a quella della clausola rescissoria, solo se sarà lui a rendere pubblica la sua intenzione. Un paletto non proprio banale sul quale non è detto che il calciatore e il suo entourage transigano, anzi: se è vero che l'azienda Real ha un'immagine lusinghiera da cristallizzare, la stessa cosa vale anche per l'azienda Ronaldo (che, in alcuni ambiti, è addirittura più vasta di quella madrilena). Per questo Juventus e Real non hanno ancora un accordo: perché senza l'accondiscendenza di Ronaldo, Perez non intende "svalutarlo" sino alla soglia dei famosi 100 milioni che Marotta aveva preventivato di investire per il cartellino. E' per questo che le cose potrebbero andare molto più per le lunghe del previsto, ma soprattutto che alla fine l'accordo per la transazione, tra commissioni (certo non banali), bonus, e alzata dell'asticella da parte del vecchio amico Florentino, potrebbe superare con nonchalance i 130 milioni.

Stiano sereni i tifosi, in ogni caso: quando si decide di comprarsi una Ferrari, difficilmente si dice di no a degli optional che costano quanto una berlina. A maggior ragione se quella Ferrari ha tanta, tanta voglia di essere comprata da chi produce da sempre. E, con lui, mangiarsi l'asfalto di una strada dalla bellezza quanto meno paragonabile a quello percorsa col vecchio proprietario.