Mentre scriviamo, la Juventus lavora ai fianchi del Chelsea per capire se e come potrà liberare Maurizio Sarri. Si parla di soldi, ma anche di potenziali acquisti, e grandi, inattesi, ritorni, come quello di Gonzalo Higuain. Tutti, paradossalmente, dettagli, al cospetto delle due, essenziali scelte che domineranno il trasferimento di guida tecnica, con tutta probabilità, più clamoroso degli ultimi tempi. 

E non per il celebre dito medio che a più di un tifoso bianconero certamente non sarà andato giù, né tanto meno per un look e un'impostazione caratteriale e uno stile oratorio che, sempre secondo qualcuno, poco si addirebbe a un contesto completamente diverso, inequivocabilmente più patinato e formale, e molto meno "proletario" e diretto. 

E' più che altro una scelta ideologica. Rivoluzionaria, a dir poco, se confrontata alla storia, più o meno recente, di una società che ha sempre consegnato la propria squadra in mani diverse.

Una scelta a sua volta diversa - e, volendo, anche azzardata - perché completamente agli antipodi rispetto a una storia estremamente vincente ma fatta di pragmatismo assoluto, cinismo tattico, gioco sparagnino e gestione scientifica dei calciatori, mercato roboante e sobrietà tattica. Un'alchimia stravolgente alle porte, quindi, che un certo Gianni Mura ha addirittura descritto in maniera tranchant ma efficace: "Se Sarri va alla Juve vuol dire che il club rinnega parte della sua storia".

Come dargli torto. Perché Maurizio Sarri è tutt'altro, e non serviremo certo noi, arrivati al punto più alto della sua carriera, a spiegare perché.

Così come tutt'altro è anche Pep Guardiola, che resta un obiettivo più o meno tangibile più che altro in funzione di ciò che sarà del Manchester City in ambito Fair Play Finanziario (e sanzioni annesse). 

In ambo i casi, i tifosi più esigenti, che dopo otto anni di successi in ambito nazionale (e cocenti delusioni in campo internazionale), dovrebbero essere soddisfatti e, forse, anche "rimborsati" rispetto a quello che, per anni, hanno, incredibilmente, sofferto: ovvero, il non gioco di Allegri

Intendiamoci: anche (e soprattutto) il sottoscritto riconosce al livornese una certa idiosincrasia rispetto alla spettacolarizzazione del suo calcio, ma allo stesso modo prende atto di come, quanto meno per quanto concerne il Campionato italiano, sia questo - al netto dei diversi valori delle rose - il modo più efficace per raggiungere gli obiettivi stagionali. 

Il punto risiede quindi nella diversa gestione delle competizioni, che una squadra come la Juventus, che ha sempre puntato all'ottenimento del massimo risultato con il minimo sforzo in Italia, non ha mai implementato nelle sue corde provando a giocare diversamente in campo europeo. 

Specularmente, ma in maniera antisimmetrica, anche Sarri fatica a massimizzare i risultati lasciando che i suoi si esprimano al di sotto delle proprie possibilità. Non è un caso, forse, se, pur con squadre di livello inferiore (Napoli e Chelsea), Maurizio abbia già vinto più di Allegri oltre che dello stesso Conte, a livello internazionale, e che abbia rivendicato in tempi non sospetti, ed a ragione, i suoi risultati e la sua capacità di adattarsi alle competizioni UEFA, nonostante abbia di fatto giocato la sua prima alla veneranda età di 56 anni. 

Abbiamo citato Antonio Conte non a caso. Suning, investendo una cifra complessiva inaudita per i suoi standard, ha scelto lui perché sa bene che, nell'immediato futuro, sarà la Serie A il terreno da battaglia suo e dell'Inter. 

Che non è ancora (e non sarà, almeno nel 2019-20) una squadra pronta per vivere la Champions da prima donna, e che dovrà in primis riproporsi ad alti livelli in Italia, aumentando sino a livelli apicali il rendimento dei singoli, e azzerando ogni possibile bega, singolare e di spogliatoio, oltre al fazionismo e al protagonismo che da tempo imperano in un gruppo che Spalletti ha tenuto saldo sin quando ha potuto, peraltro portandolo anche a raggiungere l'obiettivo minimo stagionale per due anni consecutivi.

Conte è sì, per la sua storia personale, l'antitesi perfetta dell'interismo, ma è anche, contestualmente, l'allenatore più indicato per questa sua epoca storico-sportiva. 

Un accentratore di scelte e di potere, un decisionista convinto, un uomo forte per destini forti - e non ce ne voglia il suo predecessore, per la citazione.

Insomma, il supereroe (della panchina) che forse gli interisti non merita, per il suo passato, ma sicuramente quello di cui hanno bisogno adesso. Se ne facciano una ragione, i fondamentalisti della fede nerazzurra, che sicuramente avrebbero preferito Mourinho a lui, ma che non avrebbero potuto chiedere di meglio, in questa fase. 

Una fase che comunque è assai più florida e prospettica, per decine di motivi, a quella dei cugini rossoneri. 

L'addio di Gattuso, per i modi e i tempi con cui s'è realizzato, è uno dei più onorevoli della storia recente del nostro calcio. E non solo per i risvolti economici che hanno portato Rino a salutare, senza beneficiare dei suoi ultimi due anni di contratto a sei zeri, né per i benefici che ne trarrà il suo intero, fidato, staff. Ambo le cose fanno, certamente, del calabrese un allenatore perfettamente in linea con la sua integrità morale e coerenza personale, ma c'è dell'altro. 

Gattuso ha ribadito più volte che non sarebbe mai voluto essere un peso per la squadra che ha amato più di ogni altra e con la quale, sia in panchina che in campo, ha condiviso percorsi virtuosi e momenti indimenticabili. Per questo ha deciso, quando ha capito di non poter dare più nulla ad un contesto che cambierà radicalmente, di dire addio in prima persona, mettendoci la faccia, senza rinnegare alcunché e, anzi, coccolando i tifosi senza delegittimare il lavoro della società

Una scelta, anche questa, in linea con gli ossimori rappresentati da Sarri promesso sposo della Juventus e Conte nuovo alfiere dell'Inter. Perché il Milan aveva già combinato il matrimonio perfetto, con l'uomo perfetto, ma evidentemente preferisce piuttosto puntare su un allenatore in linea con le sue esigenze attuali. 

Anche in questo caso, dopo Spalletti-Inter e Allegri-Juventus, i simili si sono, alla fine, respinti, e potrebbero lasciare ora spazio allo Yin e lo Yang. Due opposti magari imperfetti, ma necessari a sé stessi, e che si completano vicendevolmente. 

Sperano sia così sia i tifosi dell'Inter, che ora sognano lo Scudetto, sia quella della Juventus, che continuano a sognare la Champions. 

L'amore più bello, secondo qualcuno, si crea non al cospetto del sole che si staglia sul cielo azzurro, ma sotto la grandine bollente. 

Se sarà anche questo il caso, ce lo dirà solo il tempo. E nella fremente attesa della verità possiamo solo pensarci su. Iniziando però a contemplare anche i possibili cimenti. Perché gli opposti possono anche attrarsi, ma talvolta rischiano anche di sottrarsi. 

E questo, forse, non va declinato solo in sede di amorosi sensi.