Tra stagioni, tre edizioni di Champions, zero semifinali: impietoso il bilancio europeo di Pep Guardiola sulla panchina del City, e all’indomani della rocambolesca disfatta con il Tottenham, nonostante il 4-3 all’Etihad, l’indomani è il giorno dei bilanci e della analisi sulla gestione dell’allenatore catalano, preso per far fare il salto di qualità sempre mancato in Champions per i citizens. "Non sono qui per vincere la Champions", aveva detto alla vigilia il tecnico spagnolo: il dubbio su quanto concordasse la dirigenza è legittimo.

L’ex Barça e Bayern arrivava a Manchester forte di un pedigree di tutto rispetto 7 volte in semifinale nelle 7 stagioni in panchina, 4 volte in blaugrana, 3 volte nelle tre stagioni bavaresi. Per un motivo o per l’altro, nelle successive tre in Inghilterra è sempre inciampato prima di arrivare al penultimo atto. Ironico, perché proprio il suo predecessore, Pellegrini, è stato e rimane l’unico capace di portare il City alla finora unica semifinale di Champions della storia del club.

A rendere più pesante il peso del mancato successo europeo dei citizens c’è però anche il volume di investimenti che Guardiola ha richiesto, accontentato praticamente su ogni fronte: 600 milioni di euro in tre anni per il City sul mercato. Numeri rumorosi, se valutati in rapporto alla performance di ieri sera, quelli investiti per il non perfetto Ederson, o per il disastroso Laporte, costato 65 milioni di clausola rescissoria. Numeri su cui riflettere, all’indomani di una eliminazione dolorosa, ma che dimostra che non sempre investimenti milionari fanno la storia in campo.