Il Napoli segue il suo percorso attraverso sentieri stregati. Intorno a quello che si vede, sia ben chiaro, nessuna valutazione di ordine tecnico o tattico. Sono insopportabili quanto gli “interventi da studio” degli ex calciatori impiegati a giudicare il lavoro degli altri come tanti censori con la verità in tasca. Né, anche questo, la cultura dell’alibi. Solo quello che si vede. E si vede da tanto tempo. Ormai sono anni.

Non c’è stagione che passi senza quella costante per la quale il Napoli riesca a mandare in scena paradossi numerici e di prestazione. I numeri di Napoli-Cagliari dicono il doppio del possesso palla per i padroni casa, 5 parate (2 decisive) del portiere ospite e nessuna da parte di Meret. 17 a 5 tiri verso la porta per il Napoli e uno solo nello specchio della porta da parte del Cagliari, 2 pali colpiti dal Napoli, 11 a 2 le occasioni da goal a favore dei partenopei, 13 angoli a 1 per la squadra azzurra, 10 passaggi chiave a 0 per l’undici di Ancelotti (restando ai numeri pubblicati dalla Lega) e, rispetto alla heatmap, un autentico presidio, soprattutto nel secondo tempo, da parte del Napoli nella trequarti avversaria. Eppure, la partita l’ha vinta il Cagliari.

Una partita che ha ricordato molto da vicino, al di là del risultato, i pareggi dello scorso anno con Chievo, Torino e Fiorentina (solo per citarne alcuni), o le sconfitte con l’Atalanta in casa. E si potrebbe continuare. Anche più indietro nel tempo, durante il triennio di Sarri e il biennio di Benitez. Una serie di decine e decine di gare dominate dal gioco e dai numeri, ma irrisolte dalla cosa più importante: il punteggio finale.

L’atavica spiritualità di una squadra costruita nel tempo sull’idea di gioco come strumento decisivo per il risultato non riesce a rassegnarsi alla necessità di cucirsi addosso un abito di riserva. Eppure, qualche volta Ancelotti lo ha lasciato intendere che certe partite vanno vinte con la capacità di aspettare l’episodio, di costruirselo, quel momento utile a determinare il risultato favorevole.

L’attuale serie A, per quanto gli strilloni in televisione vogliano farla passare per chissà quale campionato di qualità, è sostanzialmente votata a un principio del raggiungimento del risultato che ancora rievoca idee estremamente pragmatiche e catenacciare del gioco del calcio. E chi le pratica, restando nei confini della serie A, ha spesso più ragione di chi vorrebbe interpretare un intendimento diverso del gioco e della gestione della partita.

Sui comportamenti tattici e tecnici della gara in questione si potrebbe dire tutto e il contrario di tutto, condannando certe ingenuità e giustificando certi episodi. In entrambi i casi si cadrebbe in una retorica che contravviene a uno degli elementi primordiali del gioco del calcio: il caos. Quello è contenibile dalla forza e dalla capacità di concentrazione di una squadra, ma non è gestibile fino in fondo. Non deve, però, trasformarsi, come detto all’inizio, in un alibi. Come non deve diventare, altro aspetto che di tanto in tanto spunta fuori nei comportamenti di alcuni calciatori, una molla emotiva controproducente. Vedere l’espulsione di Koulibaly.

Avere i numeri migliori in attacco – e per numeri migliori si intende sia il report collettivo che quello di più individualità (in termini di rapporto tra reti segnate e assist) – e sfoggiare le statistiche offensive tra le migliori d’Europa non basta se poi dopo le prime cinque giornate di campionato la squadra ha subito ben 9 goal, con una media di quasi 2 reti a partita e con la quarta peggior difesa (posizione condivisa con altre squadre in questo momento). E, aspetto paradossale in virtù di quel principio pragmatico sopra citato, con un’altra costante che ha caratterizzato i Napoli degli ultimi anni, da Benitez, passando per Sarri, fino ad Ancelotti: un rendimento casalingo spesso inferiore a quello in trasferta (e sempre con troppi punti persi con le squadre di bassa classifica). Forse, per certi aspetti, una corrispondenza logica rispetto alle anomalie che il Napoli si porta dietro. Quali siano i rimedi a tutto questo? Prudenza e intelligenza impongono che si resti allo stato di domanda.