Soffermarsi a parlare di calcio intorno a quello che sta succedendo al Napoli, forse, rischia di essere un esercizio di stile. Al di là dei protocolli d’accusa che si affannano a puntare il dito sui capri espiatori, in primis l’allenatore, ci sono alcuni aspetti che, pur essendo i più concreti, ormai sono stati quasi completamente abbandonati. 

Il Napoli, è vero ed è evidente, a calcio non gioca più. Anche se questa crisi è iniziata un mese fa, sembra che il gioco che la contraddistingueva fino a poco tempo fa è un lontanissimo ricordo. L’ultimo Napoli si è visto con l’Atalanta, una partita giocata con grande qualità, ma, come tutti sanno, decisa altrove. Così come era stata decisa da trascuratezze arbitrali quella che rappresenta lo spartiacque (almeno in via simbolica) di questa stagione, almeno fino a questo momento. La gara casalinga col Cagliari, dove una parziale inconsistenza tattica prima, un numero di occasioni sprecate poi, la sfortuna e un errore arbitrale senza var a correggerlo, hanno riassunto tutti i mali di questi ultimi due mesi di Napoli.

Perché, e questo pure sembra essere ormai relegato nelle trascuratezze di una certa superficialità mediatica, in particolare quella di casa, il Napoli fino alla gara col Cagliari era stato il Napoli che tutti si aspettavano. 5 partite, 15 goal segnati, 4 vittorie, tra le quali una a Firenze e un’altra col Liverpool in Champions, e una sola sconfitta, a Torino con la Juve, scaturita da un episodio che ha dell’irripetibile (e con gli uomini di Ancelotti a comandare il girone di Champions fino alla gara casalinga col Salisburgo).

Il Napoli c’era, con tutto il suo carico tecnico e tattico. Poi, dopo il Cagliari, qualcosa ha iniziato a vacillare. Poi, dopo l’Atalanta, qualcos’altro si è aggiunto al piatto deprimente della bilancia e, poco dopo, le scaramucce mal gestite da società e calciatori hanno innescato tensioni figlie di malumori che, molto probabilmente, andavano affrontati prima.

Complici alcune certezze rilanciate a cuor leggero da Ancelotti in certe zone di campo dove il Napoli avrebbe dovuto intervenire in campagna acquisti e una incompatibilità tattica di alcuni elementi con le idee dell’allenatore, il livello di tensione si è riversato in campo con Genoa e Milan (le avvisaglie si erano già avute col Torino e la Spal) con tutta la sua desolazione. Un Napoli vittima di se stesso in questo momento non sembra in grado di battere nemmeno avversari oggettivamente modesti, ancora in crisi della squadra di Ancelotti. La mancanza di lucidità, di entusiasmo, di coesione e di gioia del gioco non sono l’effetto di incompetenza, imperizia o di chissà quale cortocircuito tattico. Il calcio giocato coi problemi di questo Napoli c’entra ben poco. E, questo, è un aspetto ancora più inquietante.

Insigne, Mertens e Callejon sono l’immagine che rappresenta nella maniera più fedele la condizione di questo Napoli. Quelli che, numeri alla mano, sono sempre stati i calciatori più determinanti per la fase offensiva (sia con Sarri che con Ancelotti) adesso appaiono come i più spenti e smarriti, al limite dell’indolenza e della svogliatezza. Eppure, Insigne e Callejon sono ancora tra i primi dieci nella classifica degli assist della serie A (e tutti e tre tra i primi 15 nella graduatoria dei passaggi chiave), ma in posizioni ben lontane da quelle occupate per più stagioni dai due attaccanti azzurri. Nella classifica cannonieri appare solo Milik, mentre Lozano, tra le poche cose incoraggianti, sembra poco a poco acquisire quel rendimento degno di un calciatore costato quaranta milioni di euro. Quel Lozano che, percezione forte, non sembra essere entrato nelle grazie del senato che oggi condiziona il reparto offensivo e, forse, buona parte dello spogliatoio.

Il centrocampo, invece, sembra essere il vero punto debole della gestione più recente di Ancelotti. Un’evidente mancanza di identità della mediana è il punto più debole di un Napoli che fa fatica a recuperare palla e a proteggere e supportare la linea difensiva. Ma, mutuando Mourinho (“Il centrocampo non esiste”), se la linea mediana non funziona, è perché a funzionare male è tutta la squadra. Gli unici primi posti delle statistiche occupati da calciatori del Napoli sono quelli di una classifica che rende più amara la prova dei momenti in cui va tutto storto. Mertens e Milik sono al primo e secondo posto della top 15 dei legni colpiti, col Napoli, ovviamente, primo. A conferma di quel record sfortunato già fatto registrare lo scorso anno. Curiosità che, ovviamente, consola poco.

Sulle tensioni esplose, ma maturate da chissà quando, nel dopo Salisburgo, l’ipotizzabile sfida colpe e responsabilità che nel Napoli hanno tutti, dalla presidenza ai calciatori. Meglio ricordare che gli unici a potersi offendere restano i tifosi. Davanti, lontanissimo, un Napoli che si tiene sempre più a distanza. Pure quando non avrebbe diritto a farlo.

Quanto vale questa serie A?

Il Napoli è a pezzi dentro e fuori dal terreno di gioco e l’Inter, che ha però il merito, non da poco, di trovare stimoli ed entusiasmo nella corsa al titolo nonostante alcune difficoltà, non ha fatto mistero di tensioni tra l’allenatore e la società, sfociate in esternazioni piuttosto gravi. La Juventus, benché i giornali e le televisioni di “partito” vogliano coprire tutto, non gode di uno spogliatoio sereno e che, fino a questo momento, al netto di dovute forzature complimentose per questo e per quello, sta conducendo la sua stagione grazie a due calciatori che erano stati messi sul mercato. La Roma, che quest’anno sta ritrovando la giusta serenità, lo scorso anno ha vissuto una crisi lunghissima e logorante finita con la conferenza stampa di Totti che ha sconfessato (per non dire altro) gli equilibri tra società e spogliatoio. Il Milan di Milan ha soltanto il nome. Dal punto di vista calcistico i rossoneri soffrono una condizione tecnica che è l’esatto opposto della loro grandissima tradizione. Le genovesi sono invischiate nella lotta per non retrocedere e, già dallo scorso anno, vivono tribolazioni societarie preoccupanti. E si potrebbe continuare. 

Gli arbitraggi, nonostante il var (strumento di altissima civiltà sportiva che, paradossalmente, invece di migliorare le cose, le ha peggiorate, a causa di fantomatici protocolli e inspiegabili omissioni), stanno condizionando partite e classifica. Ma questa serie A, così strillata dalle televisioni, di fatto proprietarie del calcio, quanto vale veramente? Lasciando stare i soldi, gli introiti e tutto l’armamentario sgradevole di un grande supermercato delle emozioni, o presunte tali, quanto vale realmente sul piano della serietà e delle credibilità? Una domanda che, probabilmente, ne raccoglie molte altre. Perse per strada. Forse pure di proposito.