È dai tempi del vituperato Benitez che il Napoli è nelle metà campo avversarie. Coi suoi limiti e le sue debolezze il Ciuccio si è trasferito davanti alle trequarti degli altri per un’invasione che rivela un motto di spirito, una filosofia, un coraggio che non sempre vengono apprezzati. Se le possibilità inferiori dal punto di vista economico, se il potere politico ancora più inferiore rispetto ad altri avversari, se il fondo storico meno blasonato, se tutto questo e altro ancora è stato compensato da anni di ricerca del gioco, di calciatori che se indossassero altre casacche godrebbero di ben altre attenzioni, di una continuità talvolta “indipendente” dagli stessi proclami e obiettivi della proprietà, sembra che comunque non sia sufficiente a sospendere giudizi e acerbità, pure da una parte del tifo partenopeo.

Divampa da tempo una strana percezione del calcio. La cultura della vittoria come ossessione. La pretesa del risultato a mo’ di desiderio totalizzante. Tutto questo, ancor più paradossalmente, in un calcio nazionale fondamentalmente perdente. La critica a tutti i costi, a volte di natura preventiva e sommaria, alimentata da pensieri identici e precostituiti, pare assumere la forma di una remota e incosciente (o cosciente?) speranza che la propria opinione abbia ragione. La vanità dell’avevo detto. E fin quando tutto questo caratterizza i comportamenti di certa stampa, nulla di anomalo. Non è cosa nuova che giornali e televisioni siano pieni di pappagalli in gabbia in grado di ripetere sempre e soltanto gli stessi mugugni. Sorprende, invece, almeno per principio, che il ciclostile delle lamentele finisca negli umori e sulla bocca dei tifosi. Di certi tifosi.

Il pareggio di Belgrado è stato giustamente considerato negativo rispetto all’economia di un girone di Champions in cui i punti con la Stella Rossa rappresentano quasi un bonus obbligatorio, visti i valori potenziali del raggruppamento. Ma nel calcio gli 0-0 con squadre che per novanta minuti non riescono a segnare pur dominando il gioco esistono da sempre. A volte basterebbe rendersene conto nella più semplice e naturale delle considerazioni su questo gioco colto pure da dinamiche irrazionali. E invece.

A disgustare basta già l’atteggiamento da protezione del capitale da parte delle più importanti e potenti emittenti che dedicano intere trasmissioni a episodi riguardanti determinate squadre e determinati calciatori, rasentando un asservimento che ha del grottesco. Lo scompenso di una ridicola affezione nazionale alle “italiane in coppa” (espressione di vecchia propaganda) va in scena sistematicamente. Le stesse televisioni hanno dedicato tanta attenzione al rigore, episodio molto evidente, negato al Napoli a Belgrado? Guai a sottolinearlo. Si passerebbe per vittimisti. In certi casi vale la regola del testa bassa e dell’assumiamoci le nostre responsabilità. In altre vale la lesa maestà. Chissà che tutto questo scavi tarli poco salutari in quella percezione di cui sopra.