De Laurentiis non è quello che ha dichiarato a più riprese che avrebbe cercato ti trattenere Ancelotti anche per dieci anni? Non è quello che ha dichiarato di aver chiesto il turnover all’allenatore?

Gli entusiasmi di questi anni a Napoli hanno trovato conforto in tensioni casuali. Le grazie dei traguardi raggiunti e di quelli sfiorati, dei sogni possibili e di certe belle esperienze, pure quelle finite male, portano il nome di Edy Reja, Walter Mazzarri, Rafa Benitez, Maurizio Sarri e diversi calciatori capitati soprattutto grazie alle richieste e agli interventi di alcuni di questi, oltre al contributo, ora tecnico ora di esperienza e carisma, di questi allenatori. Carlo Ancelotti sarebbe stato la coronazione immeritata di una gestione societaria al limite della tristezza. Un allenatore che in 12 partite di Champions, contro Liverpool ( affrontato 4 volte), Paris Saint Germain e un ottimo Salisburgo, ha fatto 21 punti, incappando in una sola sconfitta. Una sola. Ad Anfield, e senza nemmeno demeritare. Dodici partite di Champions in una stagione e un quarto e una sola sconfitta, una sola, con gli ottavi raggiunti da imbattuto nel girone di questa stagione (girone col Liverpool campione d’Europa). 

Lo scorso anno, il secondo posto, un’eliminazione assolutamente immeritata e sfortunatissima nel girone con PSG e reds e i quarti di finale di Europa League. L’anno scorso per far fuori il Napoli in Europa ci sono voluti il Liverpool campione di tutto e l’Arsenal finalista di Europa League. La crisi di campionato di quest’anno non è soltanto figlia delle responsabilità di Ancelotti. Anzi, le colpe del tecnico saranno minoritarie, minime rispetto a quanto invece andrebbe probabilmente addebitato a un cattivo rapporto tra società e calciatori. Questi ultimi, di fatto, non si capisce benissimo che ruolo abbiano avuto in questa vicenda.

L’uomo solo al comando, il padre padrone di una ditta familiare, colui che per anni ha dispensato disprezzo nei confronti dei napoletani, di fatto, teme tutto quello che può mettere a dura prova il suo io. Mentre ancora dura il velo pietoso su come sia stato “salutato” a suo tempo, quasi con fastidio e con toni non poco pungenti e polemici, un professionista come Albiol, Hamsik è andato via a gennaio, in silenzio, quasi in imbarazzo, per poi tornare a Napoli a prendersi il giusto tributo in uno stadio semivuoto, in un clima di contestazione e di apatia delle curve, in una serata che tutto avrebbe dovuto prevedere tranne l’omaggio a uno dei calciatori simbolo della storia del Napoli. Storia del Napoli che questa guida societaria non ha mai voluto riconoscere, talvolta nel paradosso di voler mettere in secondo piano anche quella cresciuta in seno a se stessa. Storia del Napoli mortificata da una celebrazione insulsa e deprimente in occasione dei novant’anni della nascita o nella dimenticanza dei sessant’anni del San Paolo, nonostante questa ricorrenza sia arrivata nell’anno di inaugurazione della ristrutturazione dell’impianto di Fuorigrotta.

E si potrebbe proseguire, con un numero imprecisato di esempi e di aneddoti poco edificanti. Recenti e non. Adesso, il congedo a un uomo come Carlo Ancelotti, attraverso quella solita twitteria che sistematicamente surroga un sistema di comunicazione spesso imbarazzante. Uno come Ancelotti non avrebbe mai e poi mai meritato un trattamento così. Sulle voci dell’avvicinamento di Gattuso ha commentato: “Fa parte del gioco”. Tutta la serenità di un personaggio del calcio che non si scompone nemmeno davanti alla più indelicata messa in discussione è la sensibilità sulla quale sarebbe stato più intelligente proseguire, tentando di costruirci ancora qualcosa, magari lavorando per individuare altrove problemi e contraddizioni più significative. Invece, giù a colpire quello che di buono avrebbe potuto portare ancora qualcosa di buono. Tutta la superficialità di un sistema di cose gretto e infelice.

Non è più in gioco la qualità di un bilancio, la gestione sana delle finanze e la durata tra le seconde linee pretendendo ancora una volta di rinnovare una speranza con una sterzata improvvisa. È in gioco il valore dell’opportunità. Mandare via Ancelotti dopo la qualificazione agli ottavi di Champions ha il sapore sgarbato e maldestro di un’opportunità pesata peggio di tutte quelle che hanno portato il Napoli a un contro se stesso troppo strano per essere vero.

Chi controlla i presidenti? Chi suggerisce ai padroni che ogni tanto varrebbe la pena di pensare che a dare le dimissioni o a venire esonerati dovrebbero essere proprio loro. Basta la proprietà di qualcosa per far sì che chi la detiene deve risultare sempre il verbo incontestabile? E poi, spesso nella maniera più arrogante possibile. Viene da pensare che questo Napoli, dopo lunghi e resistenti attraversamenti fatti di grandi tensioni e di grandi speranze, a questo punto ci sia arrivato proprio perché a comandare con disprezzo, alla fine, si ottiene di rimando soltanto disprezzo. Ancelotti? Non ha bisogno di parole. La grandezza è muta e a parlare, nel tempo, resteranno i fatti.