C’è una cosa che proprio non è chiara leggendo ed ascoltando i vari commenti a corredo di questa Serie A, in particolare alla corsa scudetto, anzi non è una sola cosa. La voglia comune di un cambio al vertice è comprensibile, anche se poco probabilmente sarebbe cambiato qualcosa anche con la Juve a secco da dieci anni: per intenderci, sono passati litri e litri di acqua sotto ai ponti dalla stagione 1994/1995 ad oggi, ma i più anziani ricorderanno nitidamente quello che si scriveva sui giornali o quello che si diceva la domenica sera nelle varie trasmissioni sportive quando si parlava del “Parma dei miracoli”, e quanto sarebbe stato bello un trionfo degli Scala’s boys.

Ritornando al presente, non si può di certo restare ciechi davanti al grande operato di mister Sarri, seppur siano sicuramente criticabili i suoi atteggiamenti, le sue lamentele, le sue isterie, così come, per esempio, erano poco apprezzabili comportamenti di questo calibro posti in essere da Antonio Conte qualche anno fa, ferme restando le qualità di due coach che ad oggi stanno sicuramente sul podio degli allenatori italiani. A Sarri va riconosciuto un altro strepitoso merito: quest’anno il suo Napoli ha imparato a vincere le partite non andando sempre a mille, giocando non sempre in maniera spettacolare (caratteristiche che forse a Conte mancano ancora nonostante un cammino ad oggi più blasonato), e spendendosi bene quel credito in tal senso accumulato. Per intenderci, al netto del secondo tempo di ieri sera, non è di certo lesa maestà far notare che da qualche mese la “grande bellezza” aveva lasciato spazio alla praticità, che in fin dei conti 99 volte su 100 è sempre condizione necessaria per raggiungere le vittorie che contano: è il credito di cui prima, quello che se vince la Juve 7-0 è “Scansuolo” perché “Carnevali, Marotta, bla bla bla”, mentre se il Napoli vince 4-1 con la Lazio non fa niente se il responsabile comunicazione dei capitolini alla vigilia dichiara pubblicamente di augurarsi il tricolore ai campani. “Ci può stare”, direbbero con accento spagnolo all’ombra del Vesuvio.

La medaglia che si sta descrivendo non ha però solo due facce, ce n'è almeno un altro paio che va raccontato, o meglio, che andrebbe raccontato insieme a quelle di cui prima. Una è relativa alla favoletta secondo la quale l’eventuale trionfo di questo Napoli avrebbe del miracoloso come fu miracoloso il trionfo del Leicester in Premier League un paio di anni fa: una castroneria senza se e senza ma. Questa Serie A, Napoli a parte, ha una sola evidente eccellenza, una sola evidente forza economica di livello: ciò non significa che vincere qui in Italia è facile, perché vincere non è mai facile neanche quando giochi contro il Mazembe nella finale del Mondiale per club, ma semplicemente una vittoria di Hamsik e compagni sarebbe forse più folkloristica ma non incredibilmente sorprendente.

Vittoria che, e qui si passa al secondo aspetto residuo, al Napoli sarebbe costata evidenti sacrifici: le premature eliminazioni dalle coppe, con concentrazione dedicata solo alla corsa tricolore, sono elementi fondamentali che permettono a questa squadra di affrontare con brillantezza impegni non troppo ravvicinati nel tempo, perché non sarà l'Europa League a far modificare i piani di Sarri che d'altronde è stato anche abbastanza chiaro a riguardo. “Eh, ma la panchina corta” potrebbe obiettare qualcuno: bene, è il caso di far crollare un altro mito comune che a forza di essere ripetuto tante volte sta diventando Bibbia. La panchina lunga nel corso di una stagione può risultare utile per una squadra di vertice impegnata tre volte alla settimana, ma a chi da gennaio ha lo stesso numero di impegni del Crotone e del Benevento a cosa servirebbe? Le altre squadre (il Napoli con la Juve ci giocherà contro appena una volta, per la cronaca) hanno alternative quantitativamente e/o qualitativamente superiori? Perché qui è bene ricordare quanto già detto: il Napoli di Sarri ha imparato una lezione fondamentale, sa vincere anche non andando a mille, anche non indossando un suit di classe, i secondi tempi come quello di ieri sono l’eccezione e non la regola. Ed è un evidente merito!