Le diplomazie erano ancora impegnate su più fronti quando, a una quindicina d’anni dalla fine della seconda guerra mondiale, l’attuale Russia giocava col nome di URSS, comprensiva, come nazione regina del blocco era formata, di quelle che allora non erano nazioni indipendenti.

Il campionato del mondo del 1962 mise nello stesso girone i sovietici e gli uruguaiani, insieme alla Jugoslavia e alla Colombia. Una cenerentola sudamericana, una nobile decaduta del calcio mondiale e due squadre appartenenti alla scuola dell’est europeo. Due squadre, la Jugoslavia e l’Unione Sovietica, destinate a fare strada in quell’edizione della Coppa del Mondo, la Rimet che gli uruguaiani avevano già conquistato due volte e che in quel campionato, però, avrebbero visto andare nelle mani di qualcun altro, considerando le condizioni non di certo ottimali della sua selezione nazionale.

Prima di incassare una sonora sconfitta dalla Jugoslavia, l’Uruguay aveva battuto la Colombia nel match d’esordio, grazie a un goal di Sacía e a uno di Cubilla, che, in rimonta, si erano aggiunti al rigore iniziale di Zuluaga. L’URSS, intanto, aveva battuto per 2-0 la Jugoslavia e aveva clamorosamente pareggiato per 4-4 con i colombiani, capaci di rimontare un passivo di 4-1. Coll, Rada e Klinger, nonostante l’eliminazione, colorarono d’orgoglio quella partecipazione, segnando tre goal in venti minuti e regalando alla Colombia la soddisfazione di aver costretto a un incredibile pareggio la squadra che avrebbe poi vinto il girone.

Estadio Carlos Dittborn, nemmeno diecimila spettatori per una partita che vale la qualificazione. Incontro difficile per entrambe le squadre, agli ordini del fischietto italiano Cesare Jonni, maceratese, ancora oggi considerato tra i migliori arbitri italiani di sempre. L’Uruguay si porta in vantaggio con Sacía, ancora lui, l’attaccante che l’anno prima aveva conquistato la Coppa Intercontinentale con la maglia del Penarol e che, tre anni prima, aveva vinto la Coppa America con la nazionale celeste. I russi, però, prima trovano la rete del pareggio con Mamykin e poi, nella ripresa, quella del vantaggio grazie a Valentin Koz'mi? Ivanov, nome da scrittore russo, campione e capocannoniere europeo che avrebbe fatto registrare il primato nella classifica marcatori anche nel mondiale cileno. Il 2-1 qualifica l’Unione Sovietica e, complice il successo della Jugoslavia sulla Colombia il giorno dopo (un netto 5-0), elimina l’Uruguay dal torneo, che, alla fine dei conti, vedrà i russi eliminati ai quarti di finale dal Cile padrone di casa e la Jugoslavia, invece, sconfitta in semifinale dalla Cecoslovacchia.

Per gli uruguaiani l’occasione della rivincita arriva otto anni dopo, in Messico. Il 14 giugno del 1970, all’Azteca si fronteggiano Uruguay e Unione Sovietica. La sfida è valevole per i quarti di finale della Coppa del Mondo. Si gioca alle 12.00 ore locali. La gara è molto equilibrata e, dopo il risultato finale di 0-0, l’arbitro olandese van Ravens decreta i tempi supplementari.

A pochi minuti dallo scadere del 120’, Víctor Rodolfo Espárrago Videla (subentrato proprio all’inizio dei tempi supplementari), ex metallurgico, scardina la retroguardia sovietica e trova il goal che qualifica gli uruguaiani. L’azione, però, è viziata da una giocata in contrasto avvenuta sulla linea di fondo. Mille replay non assicurano che la palla sia uscita completamente, ma nemmeno che il pallone sia stato rimesso in mezzo all’area da posizione regolare. I dubbi restano e, nonostante le vigorose proteste dei calciatori in maglia rossa, l’arbitro decide di convalidare un goal pesante quanto difficile da valutare. Un altro goal fantasma nella storia del campionato del mondo.

Tuttavia, quella rete qualifica l’Uruguay in semifinale, dove la nazionale celeste trova il grande Brasile dell’ultimo Pelé. I carioca, dopo essere andati sotto grazie a un goal di Cubilla, andranno a segno con Clodoaldo, Jairzinho e Rivelino. Anche i brasiliani, così, a distanza di vent’anni dal dramma di Rio de Janeiro, trovano una rivincita contro gli uruguaiani.
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Oggi l’Unione Sovietica non c’è più. La Russia è la rielaborazione di quella “sottrazione” che ha condotto al dissolvimento dell’URSS e del blocco socialista. Il 2018 vede una Russia galvanizzata dal suo ruolo di paese ospitante e l’Uruguay silenziosamente candidato a potersi rivelare come protagonista di un’edizione che nel girone ha raggruppato due scuole calcistiche antiche e antitetiche. Tecnici e grintosi gli uruguaiani, che oggi, con un centrocampo rapido ed efficace in fase difensiva, punta sulla grande abilità offensiva di Cavani e Suarez. Contare su due tra i più forti centravanti del mondo può essere una carta decisiva in un campionato del mondo in cui le individualità potrebbero risultare determinanti.

La Russia ha iniziato il suo mondiale in grande stile, avendo ragione di avversari modesti, ma comunque dimostrando grande personalità. La gara con gli uruguaiani, che di fatto vale per il primo posto nel girone, rappresenta un test più attendibile per capire quanta strada potrebbe percorrere la Russia di Cherchesov.

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Il 4-2-3-1, con Gazinsky e Zobnin riferimenti mediani, pare funzionare sia sul piano offensivo che su quello difensivo. L’Uruguay dirà se nelle partite di tradizione questa Russia è nuova interprete di un’altra tradizione che tanti anni fa la vedeva sotto un altro nome.